domenica 28 marzo 2010

Il foglio vuoto

Non insisterò mai abbastanza sul problema fondamentale dell’artista, e in modo più specifico dello scrittore, della paura del foglio bianco. L'Horror Vacui, l'ossessione del pittore di riempire tutta la tela. Come diceva qualche filosofo antico " La natura ha il terrore del vuoto." Così io, nel XXI° secolo, facevo riferimento a queste credenze superate, come per giustificare il fatto di non aver niente da dire, di essere senza fantasia e intuizione. Non avevo in mente niente, e questo mi spaventava. La pagina bianca mi osservava minacciosa. Dovevo riempire quel vuoto. Il concorso stava per scadere e non avevo assolutamente voglia di lasciar perdere. Mi ero messo in gioco e ora volevo giocare. L'ispirazione scompariva quando volevo darle sfogo in modo agonistico o forzato. Mappe mentali, brainstorming, non servivano a niente. Nessuno avrebbe scritto quelle pagine per me, tantomeno mi avrebbe aiutato qualche tabella da manager disperato. Ecco cosa significava il blocco dello scrittore. In altri momenti mi sarei semplicemente sdraiato sul divano con una tazza di caffè, avrei portato a spasso il cane. Se non viene fuori niente – mi dissi – non è il caso di farne un dramma.
Stavo seduto in attesa. La luce del monitor illuminava il mio viso e la scrivania. Intorno la stanza era nella semioscurità. Cominciai a guardarmi intorno, immerso in chissà quali pensieri. Forse pensavo agli esami, forse alle ragazze o di certe commissioni che dovevo fare per conto di mio zio. Forse fu quella combinazione astratta di pensieri senza coscienza, che produssero per un attimo nella mia mente, una piccola ma breve sensazione di illuminazione. Avevo una qualche specie di idea per il racconto, lo sentivo, ma più di questo non sapevo. Tutto era confuso, confuso come il ticchettio dell'orologio a muro nell'altra stanza. Solo nel silenzio notturno, il rumore del grande orologio risorgeva, anzi, spiccava su tutto, scandendo i lunghi attimi della notte. Mi concentrai sul rumore, con gli occhi persi nel buio. Era un ticchettio irregolare, a volte più acuto, a volte più lieve, come se non tutti i secondi fossero di uguale intensità. Rimasi li, immobile ad ascoltarlo per non so quanto tempo, cercando di riconoscere uno schema circolare di battiti, di carpirne il segreto. Strano perdere la cognizione del tempo ascoltando un orologio. Così, perso nei flussi di pensieri astratti, assopito nel grembo del divano, passò un periodo indefinibile, dove forse, mi addormentai. Ma venni improvvisamente risvegliato dal verso di un gufo, che probabilmente si era rifugiato su un albero vicino alla finestra. Mi alzai, andai ad aprire le imposte e con sorpresa trovai ad aspettarmi una notte meravigliosamente serena e luminosa. La luna piena splendeva lassù, dietro i boschi che circondavano la casa. Lasciai così le imposte socchiuse e tornai a sedermi. Adesso la stanza era attraversata da un sottile e candido raggio lunare che andava a cadere proprio sulla libreria di fronte a me. Tra la pila disordinata di libri intravidi un tomo, più grande degli altri, che spiccava, quasi a cercare il mio sguardo. Era L’I Ching. L’oracolo cinese. La gente confidava nella fede in Dio, nell'oroscopo o nel destino. Io mesi prima avevo scoperto questo libro, avevo letto l'introduzione di Jung e ne ero rimasto affascinato. Come sostiene Jung stesso, la grandezza dell'I Ching sta nel fatto di aiutare a proiettare i propri pensieri ancora confusi nel suo astruso simbolismo. Insomma, ognuno interpreta come vuole. Perché non provare di nuovo, mi chiesi. Lanciai le tre monete e il risultato fu: Wei Chi, Prima del compimento. L'esagramma era composto dal trigramma inferiore L'abissale e quello superiore L'aderente. La sentenza recitava:
Prima del compimento. Riuscita.
Ma se la piccola volpe,
quando ha quasi compiuto il passaggio,
finisce con la coda nell'acqua,
allora non vi è nulla che sia propizio.

La condizione era difficile, il compito grande e pieno di responsabilità. Si trattava di ricondurre il mondo dallo scompiglio all'ordine. Eppure mi prometteva riuscita. Questo mi dava un barlume di speranza. In Cina la prudenza della volpe è proverbiale. Così L'I Ching mi consigliava di stare attento. Ma io mi sentivo una volpe giovane e inesperta. Rimaneva ancora da consultare il mutamento. Sei al terzo posto significava:
Prima del compimento l'attacco reca sciagura.
Propizio è attraversare la grande acqua.

Era giunto il tempo del passaggio ma ancora mancavano le forze. Se avessi tentato di ottenerlo ad ogni costo, proprio allora il crollo sarebbe stato inevitabile. Mi bastava così. Non volevo sapere altro. Lasciai perdere l'oracolo e tornai davanti allo schermo del pc. Il cursore lampeggiava. La paura di non dire assolutamente nulla, di essere fuori tema, i caratteri che mancavano ancora alla fine della pagina, mi ossessionavano. La notte era al termine. Tutto era contro di me. O almeno io la vedevo in questo modo. Ho sempre avuto uno spiccato senso del drammatico. Cercai ancora di fgurarmi nella mente quella vaga idea che avevo. Ma più cercavo di scavare nella testa, più il ticchettio dell’orologio si faceva forte, sempre più forte, e più mi concentravo più ero confuso. La realtà ingombrante, pulsava caoticamente sotto la mia pelle, nelle viscere. Era inutile distaccarsene. Sentivo di essermi bagnato la coda, come una volpe troppo giovane. Basta – mi dissi. Dovevo scrivere. Non importava cosa. Tutto quello spazio disponibile, tutto quel bianco e quella purezza mi dava la nausea. Mi buttai sulla tastiera, pazzo cominciai a battere qualche frase, e dopo averne letto qualche riga, tutto fu chiaro. Avevo deciso, finalmente tutto tornava: avrei scritto. Avrei scritto di me stesso, alle prese con questa assurda paura del foglio bianco, del cercare di riempirlo, a costo di perdere il controllo, la coerenza, il filo logico del mio stesso testo. Un testo saturo di niente, di vuoto riempito a forza. Un racconto che parla di se, in modo anomalo e stravagante. Come se fosse il foglio a scrivere di me alle prese con lui. Iniziai a scrivere.