lunedì 31 dicembre 2007

La congiura

Ai vertici lo sapevano bene. Tutto si svolgeva secondo i piani stabiliti.
Alla mezzanotte del 31 dicembre 2007, il mondo non sarebbe stato più lo stesso.
Chi amministrava il vero potere, dall'alto, nascondendo la propria identità, fremeva e s'agitava dietro la propria scrivania, in attesa del giorno della libertà.
Milioni di chip, vaccini, e controlli mentali, erano pronti per attivarsi allo scadere dell'anno 2007.
La più grande congiura della storia. Il controllo totale delle menti, il primo lavaggio del cervello di massa, come se non ce ne fosse già abbastanza.

Non ci sarebbe stato nessun 2008.

domenica 30 dicembre 2007

Bellissima musica...

Il proiettile era entrato nel polmone perforandolo.
Steso sul pavimento ghiaccio, S. era alla fine. Ancora pochi respiri.
La mano sinistra sembra voler reggere la ferita e il sangue che è colato sul pavimento creando una pozza.
Con mente lucida, riuscì solo a pensare ad una cosa.
La musica

Strano, da una vita pensava che gli ultimi pensieri di un uomo si limitassero al ricordi del passato o alla rabbia per lo stronzo che ti ha piantato il piombo in corpo.

Invece era in pace.
Nel pub, una musica melanconica passava a basso volume, come per dare contorno alla scena.

Come il finale di un film, dove la telecamera inquadra il protagonista in preda agli ultimi spasmi, con gli occhi rivolti verso l'alto, la voce del protagonista riesce solo a pronunciare:

Bellissima, questa musica per morire.

sabato 29 dicembre 2007

Senza respiro

Un suonatore di fisarmonica ambulante intento a guardare l'andamento della borsa, sullo schermo in una vetrina della banca, il giorno di natale, la città deserta, tutti a smaltire la carneficina di animali ingeriti con gusto e narcotizzati dai litri di alcolici salpano verso le dimore, dove un divano accoglierà membra gonfie e oziose, televisori accesi e luci e palline delle festività cercano di riempire quel vuoto incolmabile di festa tradizionale, che ormai si è persa per sempre, trasformandosi nella celebrazione del consumismo, dove il denaro compra un felice natale, senza scampo, senza respiro, senza punti di arrivo, fino all'infinito, così, come in una rappresentazione sacra, il denaro e il potere abbracciano il bambin Gesù, appena nato in una stalla di Betlemme, 2007 anni fa, e sullo sfondo al posto del bue e l'asinello che lo riscaldavano, un bel piatto di carne ingrassata, mentre nel cielo, una speranza illumina i più lontani animi, una stella cometa, in collisione verso la terra.

venerdì 28 dicembre 2007

Grande match

Non poteva farne più a meno.
Era assuefatto.
Il suo sguardo era solo per loro.
Li guardava distruggersi, annientarsi tra di loro, mangiarsi, stuprarsi.
Da lassù, senza muovere un dito, senza agire una sola volta.
Le sue creature per questo, si sentivano abbandonate.
La terra era piena di ingiustizie, soprusi, omicidi. Qualsiasi Dio avrebbe messo mano in quel caos di male per ristabilire l'ordine.
Ma lui no.
Rimase per l'eternità a fissarli scomparire lentamente, completamente soggiogato dalle loro azioni, dal loro dolore.
Era come se Dio e Satana, stessero guardando una partita in televisione.
Chi avrebbe vinto alla fine?
E dopo?

mercoledì 26 dicembre 2007

Fine dell'impero

Dio del cielo notturno, vento della notte, ululato nell'oscurità. Specchio fumante, abbiamo meritato questo? Serpente piumato, dove sei?
Possibile che ci abbiate abbandonati al nostro destino? Possibile che gli uomini bianchi, giunti dal mare con le loro case galleggianti, siano così crudeli? I loro bastoni del fulmine spaventano le Ande e soggiogano le popolazioni. A Cajamarca, 5.000 dei miei uomini, sono stati annientati da appena 160 di loro. Siamo stati vittime di un agguato. Ci hanno attirato con l'inganno e buone proposte di pace. Attirati nella piazza principale, siamo stati attaccati di sorpresa dai lati. Il mio impero ha combattuto valorosamente: nonostante mi trovassi in piedi sulla lettiga, nel mezzo dello scontro, gli uomini bianchi non sono riusciti a toccarmi. Un muro di uomini mi proteggeva. Ho visto cadere uno ad uno i miei fedeli, fino a quando Pizarro è riuscito ad afferrarmi per una gamba e mi ha imprigionato qui. Il capitano Pizarro, mentre mi afferrava, è rimasto ferito ad un braccio da una lama di un compagno. Per quanto ne so, è l'unico bianco che è rimasto ferito nel massacro. Ora sono loro prigioniero. Ho rispettato i patti di riscatto: una stanza piena d'oro in cambio della mia libertà. Ho visto come gli uomini bianchi siano attratti dalle lacrime del sole. Sensazioni che non ho mai conosciuto, brillano come fuoco nei loro occhi, quando vedono i nostri ornamenti. Mi hanno dato uno strano oggetto. L'ho aperto: dentro, su delicate foglie bianche, c'erano simboli a me sconosciuti. Gli uomini hanno reagito male quando l'ho gettato in terra. Soprattutto quello che me lo ha passato, un uomo vestito di una tunica marrone, ha cominciato a urlare contro di me. Credo che in quell'oggetto risieda il loro Dio.


Atahualpa venne giustiziato mesi più tardi, da un piccolo consiglio di capitani spagnoli, ma senza nessun potere formale.
Pizarro in persona gli comunicò la sentenza. Atahualpa rimase annientato da questa decisione, ma fu solo per un attimo. La sua naturale fierezza prese il sopravvento e il sovrano inca si ricompose e si apprestò ad affrontare la morte con la dignità consueta.
Prima di morire, fu costretto ad essere battezzato, per non morire sul rogo. La religione Inca aborriva la distruzione del cadavere che si riteneva non avrebbe permesso di conseguire l'immortalità e la proposta trovò l'immediata adesione del condannato. Atahualpa venne così battezzato e, invece di essere bruciato sul rogo venne strangolato secondo la tecnica del garrote spagnolo allora in voga.

Atahualpa fu giustiziato il 26 luglio 1533.

(Fonte storica:Wikipedia)

Delirio di parole..

Morii. Cascando in terra, macchiarsi di sangue i jeans.
Il proiettile lo ebbe perforato al polmone.
Si chiede cosa avendo fatto.
Avanzerà, guardarlo, il suo primo omicidio.
Se non pensasse alla vittima come un essere umano, si fu reso conto, che non sarebbe così traumatico.
Con calma, pulendo l'arma, andrò in giardino e scaveranno una buca abbastanza profonda.
Per me. Il cadavere non ne ebbe bisogno.

La pala colpì qualcosa di metallico quando scavò ancora. Il marinaio Gengi urlò a squarciagola:
"Capitanoooo, l'abbiamo trovatoooo"

Urlò così forte che svegliò perfino Giulia. Si alzò dal letto, prese la solita aspirina e si mise a sedere. I postumi della sbornia pesavano i pensieri nella scatola cranica rovesciata. Il cervello troppo piccolo per la testa, pulsava fino ad esplodere e lo stomaco rifiutava persino la bile.

L'antibiotico aveva fatto il suo effetto finalmente. Marco. si sentì meglio, dopo ore di agonia. L'appendice ormai era come una bomba ad orologeria.
Dopo poche ore, sarebbe stato portato in sala operatoria.

Il Dottor. F, sbrigò tutti gli appuntamenti e se ne andò a casa, portando lo stress, e i problemi dei pazienti. Fortunatamente lavorava in un piccolo paese come medico di famiglia. Il pensiero della grande città lo spaventava.

"Chi è lei? Dove sono le mie guardie?" domandò con ansia Roncato.
"Cambio di guardia" rispose l'uomo senza aggiungere altro.
"C-cosa significa?"
"Come, non capiste?" rispose lo sconosciuto, tirando fuori da soprabito la pistola.

martedì 25 dicembre 2007

Claustrum


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lunedì 24 dicembre 2007

Dreamtime

Dreamtime.
I Koori trasmettono oralmente le loro credenze religiose da più di 50.000 anni.
Una delle più antiche culture della Terra.
Ancora oggi è viva la storia del Tempo del Sogno: il mito della creazione o meglio, il mito della formazione.
Si, perché questi miti sono volti a spiegare l'origine delle caratteristiche geografiche e topografiche del territorio australiano.
I canti che si trasmettono di generazione in generazione è come se usassero come pentagramma la morfologia dei luoghi.
Al Tempo del Sogno, la Terra aveva una forma astratta ed era abitata da esseri mitologici e metafisici.
Ad ogni loro azione, ad ogni loro movimento o danza o canto, lasciarono una traccia indelebile sul territorio circostante, creando così le montagne, i laghi e tutti gli elementi esistenti in natura.
Ogni luogo della terra è sacro e differenziato dal proprio Sogno: il cosiddetto Sogno del luogo.
Il Tempo del Sogno è definito il tempo prima del tempo, quasi una dimensione parallela, dove esseri mitologici creano il mondo e lo modellano a seconda delle loro azioni. Gli Aborigeni credono che il sogno permetta loro di raggiungere questo mondo e capirlo.

Sono stati ritrovati moltissimi reperti egiziani in Australia: geroglifici, statue e steli.
Tutte molto antiche. E' stata rinvenuta persino una mummia egizia.

Queste tradizioni orali stanno scomparendo sempre più velocemente.
Un giorno rimarrà solo la parola Tempo del Sogno. Poi più niente.
Dreamtime.

domenica 23 dicembre 2007

Perdita del risveglio

Pressione massima.
Le tempie schiacciate forzavano il cervello in una morsa letale.
Era giunta la fine.

No.

Forme geometriche, prima semplici e poi sempre più complesse, mi si paravano davanti gli occhi.
Mi venivano addosso, sul viso. Colori spichedelici.
Poi le forme si sono confuse, hanno perso lucentezza e piano piano il buio si è fatto strada.
Davanti ai miei occhi, tra gli alberi che coprivano la luce della luna, un serpente di 20 metri era arrotolato e contorto su di un ramo. Immobile, eppure così vivo. Sembrava racchiudere il segreto della vita. Ne ero terrorizzato.
Non era un animale. Era un Dio.
La visione era più vera della realtà stessa.
La primordiale paura dell'ignoto e del mistero. Immerso in una boscaglia sconosciuta e oscura, era una di quelle scene mai viste, ma che ha il raro potere di scaturire repulsioni dal più profondo angolo dell'inconscio.
Primordiale e umano.
Quale vecchio antenato avrà visto questa scena senza tempo?
Ad occhio priva di significato, la visione era come un ponte di sensazioni simboliche nascoste.
Prima di decodificare, mi sveglio.
La comoda sensazione di essere solido, mi dava certezze semplici e basilari. Il cervello masticava di nuovo le menzogne a cui era stato abitutato.

sabato 22 dicembre 2007

Vita

Hovercase con le pupille dilatate, barcollò sul tappeto della camera e poi crollò sul letto. In un bagno di sudore e di schizzi nervosi, cominciò il suo più grande e potente viaggio.
Cominciò a sentirsi fluttuare e per quanto si tenesse aggrappato al lenzuolo, il corpo volò via. La stanza si fece piccola fino a scomparire nel nulla. Si rese improvvisamente conto di trovarsi in un passato profondissimo. Prima degli uomini, prima della vita. Prima di ogni cosa.
La sua coscienza si trovava in un'enorme astronave comandata da esseri umani.
Non li aveva mai visti eppure sapeva tutto di loro, anzi sentiva di farne parte, come se fossero dei familiari. La scena era così consueta che si comportò come uno di loro e venne rispettato allo stesso modo.
Scambiò due parole con una donna, probabilmente era sua moglie, poi andò al posto di comando. Controllò i sistemi per vedere se era tutto a posto.
Hovercase era il capitano della nave Terra, inviata nell'universo alla ricerca di pianeti ospitali per portare la Vita, il sistema e biologico più avanzato di loro conoscenza.
Il loro sistema solare si era spento a causa di una guerra di proporzioni galattiche e i pochi superstiti avevano il compito di salvare l'unica energia che si contrapponeva alla Morte nell'intero Universo: la Vita.
Questa razza superiore aveva sviluppato in migliaia di anni, una conoscenza tecnologica impareggiabile. Il capitano era fiero di tutto ciò.
Non sarebbe vissuto a lungo, poiché era estremamente vietato scendere sul pianeta stabilito, per non compromettere in nessun modo la delicata e plasmabile Vita.

Hovercase si svegliò un giorno dopo.
Gli ultimi ricordi erano confusi. Ricordava una data, anzi due: 5000 d.C. e 4 miliardi di anni...in qualche modo le date coincidevano una sull'altra.
Appena riprese le facoltà normali, Hovercase ripensò attentamente al viaggio che aveva fatto. Era solo un trip mentale o in qualche modo era entrato nel corpo e nella mente di un colonnello esistito veramente?

Leggendo il quotidiano gli cascò l'attenzione su di un articolo: "La tecnologia spaventa: Clonato il primo essere umano. Il Dott. Casi sostiene: un giorno creeremo la vita."

giovedì 20 dicembre 2007

Alice cerca di morire

Alice stava cercando nuovi modi per morire.
Droghe, corde, lame, canne.
Ma la cosa che più la uccideva era stare al mondo: sentirsi aliena, schiava, sfruttata, inutile e insignificante.
Questo la uccideva di più.
Ogni mattina si svegliava alle 5 per andare a lavorare in una fabbrica fredda e sporca. Era una dei milioni di precari. Un giorno lavora, il giorno dopo è a casa senza stipendio. Faceva di tutto pur di tirare avanti. Tutto nei limiti.
Era stanca ma teneva duro, nel cuore avvelenato aveva ancora dei sogni remoti: una casa in campagna, una famiglia.
Sogni normali quanto impossibili e sfocati sull'orizzonte della vita.
La vita sociale era scarsa. I maschi tutti uguali e le femmine stupide puttane.
Conosceva la corruzione, la povertà e l'ingiustizia. Dio non era poi così buono.
Nessuna via di scampo. Il mondo girava così e se non ti stava bene eri morto.
Vivere la uccideva di più di tutto.
Alice stava cercando di morire. Continuò a vivere.

Attesa della morte.

-Caricamento in corso, attendere prego-
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Il cursore bianco pulsava all'interno del BIOS del sistema. Il cuore della macchina era in funzione.

-Caricamento in corso, attendere prego-

Le uniche parole. L'unica schermata fissa, da infiniti minuti.
F. fissava ancora lo schermo, ansioso di segnali positivi.
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Lo stress lo stava uccidendo. Si alzò, si mise a leggere il giornale, ma la mente era occupata da un solo pensiero. Le lettere del quotidiano erano come forme prive di significato. Niente sarebbe riuscito a distrarlo.
La questione era maledettamente importante, troppo importante per lui.

-Caricamento in corso, attendere prego-
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-Caricamento completato-

Finalmente dopo un secolo di attesa, F. fu in grado di osservare i risultati dell'esperimento: la scritta NEGATIVO era evidenziata in rosso.
"Cazzo!" Esclamò F. con le mani nei capelli.
Di fretta uscì dalla stanza mentre si aggiustava la maschera antigas.
Nell'atrio del palazzo trovò un collega.
"E' negativo, non ce l'abbiamo fatta!"
"Bè non è colpa nostra se ormai l'aria è irrespirabile - rispose il collega con scherno - Lo sai, l'azienda ha provato in tutti i modi a rendere di nuovo l'aria respirabile. Non ne fare un caso personale, le colonie sono già pronte!"
F. tentò di dire qualcosa, poi si fermò con aria stanca.
All'esterno, le nubi tossiche oscuravano la luce del sole. Il suolo era una ricoperto da sabbia rossa.
La Terra ormai era quanto più di diverso dalle origini e nessuno ormai l'avrebbe potuta salvare.
F. se ne andò fino a sparire all'orizzonte, fino a che le nubi scure, come tempeste magnetiche, non nascosero la sua sagoma.

mercoledì 19 dicembre 2007

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U.T. era una di quelle persone, che vedeva il male accadere solo agli altri, convinto che a lui, non sarebbe mai successo niente.
Malattie gravi, perdita dei proprio cari, incidenti, erano cose fuori dal suo mondo. Vedeva queste disgrazie come ammonimento, per rimanere sempre in riga, per non uscire dagli schemi e rimanere così, intrappolato nella sua stessa vita.

Giorno dopo giorno, mese dopo mese, U.T. era sempre più convinto che se avrebbe fatto qualcosa di grave, non gli sarebbe accaduto niente. Il protagonista non può morire, si diceva.
Il dubbio lo mangiava dentro, lo consumava.

Dopo altri 3 mesi, U.T. si alzo dal letto quasi delirante di febbre, aprì l'armadietto dei fucili nello studio di suo padre, lo caricò e scese in strada.
Sul marciapiede si guardò attorno, per cercare la prima vittima: stranamente non c'era nessuno in quel momento. Questo era veramente un mistero perché erano appena le 10.00 di mattina e di solito il traffico non mancava mai.
Il fatto scosse U.T. a tal punto che lo fece desistere dalla folle impresa.
Ora era tutto chiaro. Qualcuno non voleva che il "protagonista" si comportasse in quella maniera perché sicuramente non gli sarebbe successo niente. Se avesse sparato a qualcuno e quindi avrebbe azionato fili che non esistono, probabilmente l'Universo sarebbe imploso, avrebbe cessato di esistere.
Così la vedeva U.T.
Non si sentiva egocentrico, ma era sicuro di aver ragione: qualcuno, forse Dio in persona aveva altri piani per lui.
Ma U.T. si sentiva in trappola, come in un videogioco, una società creata apposta per lui dove però non era libero.
Mentre fantasticava, vide sulla strada un cartello che non aveva notato prima: "lavori in corso, strada chiusa".
Quindi oggi non c'è nessuno perché la strada è chiusa, pensò, però sono sicuro che prima quel cartello non c'era. Sicurissimo.
Qualcuno stava cercando di pararsi il culo.

lunedì 17 dicembre 2007

Vita veloce

..."In pochi anni, la tranquilla città di provincia, è mutata in un labirinto di cartelli stradali, semafori e rotonde. Al posto dei campi adesso ci sono ampi parcheggi a pagamento e alveari come muri di una prigione. I grattacieli, spuntati come funghi, oscurano il sole sulle strade, come gli alberi delle foreste privano di luce il sottobosco. La luce dei lampioni infatti è sempre accesa. Quanto consumo"...
..."e il traffico sembra scandire la vita, sempre frenetica e in continuo movimento. Mai un attimo di riposo"...
..."Vita veloce, sempre in movimento, ma per arrivare dove? Qualcuno raggiungerà mai il traguardo? Anche se adesso tutte le distanze si sono annullate con i moderni mezzi di trasporto, nessuno ormai è più soddisfatto di essere arrivato, arrivato lontano"...
..."Cibi liofilizzati e OGM sono ormai gli unici in vendita sui grandi scaffali dei supermercati"...
..."Vita veloce, nessuno trova più il tempo di cucinare un bel pranzo tradizionale. Tempo sprecato, il mercato tradizionale è stato scavalcato dalle catene internazionali di Megamarket; abbigliamento, farmacia, fast food, banche e articoli di ogni genere si trovavano tutti nello stesso luogo"...
..."Vita veloce, nessuna cassa si trova in fondo al Megamarket perché ogni cliente ha la sua tessera-bancomat da cui gli vengono scalati i crediti"...
..."La moneta di carta non esiste più. Il denaro era un bene virtuale.
Alla nascita, ogni persona viene munita di un chip: un piccolo cubo elettronico che riassume e contiene ogni dato del possessore. Senza il chip nessuno può dichiarare la propria esistenza, nemmeno acquistare ne curarsi ne mangiare"...
..."e adesso me lo sono strappato via dal collo. Mi sono fatto aiutare da un vecchio chirurgo, mi ha fatto un male cane"...
..."Vita veloce, i documenti di identità sono stati aboliti nel 2240.
Il 30% degli abitanti, svolge il proprio lavoro come operaio nella più grande fabbrica della città. Un lettore di chip, ha preso il posto del classico lettore di schede per timbrare l'entrata e l'uscita, ritenuto obsoleto nel 2241"...
...."La situazione globale è molto peggiorata. L'Africa è interamente inabitabile, per via del surriscaldamento. Così come alcune parti dell'Asia e dell'America Settentrionale.
Il problema 3° Mondo è stato "risolto". La Nasa sta colonizzando Marte. I Russi sembra abbiano trovato un pianeta identico alla Terra.
Tutti parlano della Guerra, e della bomba Y"...
..."Spero che qualche uomo dell'anno 2000, mi possa leggere e comprendere, questa macchina del tempo per materiale inorganico sembra dare i numeri. Se qualcuno mi può leggere, deve far conoscere a tutto il mondo questi scritti, per comprendere gli sbagli che un giorno l'uomo commetterà, per tornare ad una vita migliore e più semplice"...
..."Vita veloce. Mi hanno scoperto, non ho più tempo"...
..."Ci sono troppe informazioni da dare: il 12 dicembre dell'anno 2012 per esempio ci sarà un'e..."...

Pezzi tratti dalle memorie di H.D.
dichiarato pericoloso, alloggiato all'ospedale psichiatrico di Lucca nel 2249.

Il Mostro

La città sembrava esser stata inghiottita dal nero. I lampioni accesi sulle vie principali, creavano ombre arabesche che si inoltravano nei vicoli.
E il Mostro si aggirava in quegli anfratti bui della periferia. La nebbia costante della notte mascherava e nascondeva agli occhi dei passanti, i macabri avvenimenti della Via Rouge.
Infatti il Mostro, che da mesi colpiva indisturbato, massacrando con un martello le povere vittime; per lo più puttane e balordi di strada, sii trovava in quel momento, nel suo solito stato "creativo": il suo nuovo soggetto era una prostituta che aveva appena conosciuto. Dopo averla abbordata con fare da signore e portata nel vicolo, al buio, aveva tirato fuori il martello, e come fa uno scultore, stava lavorando per tirare fuori l'opera d'arte dal pezzo di marmo.


I passi di F. rimbombavano sull'asfalto bagnato dell'isolato affianco. Dopo una stressante giornata in ufficio aveva rincasato presto, trovando sua moglie a letto con l'amante.
Dopo averli uccisi entrambi in un raptus omicida, se ne era andato in giro, per scordare, per finirla, magari tirandosi da un ponte. Non restò turbato dal fatto commesso. Era indifferente. Ripensò a tutte le fasi del delitto.
Appena scoperta la moglie e l'amante, era corso nello scantinato, alla ricerca di qualcosa di contundente. Gli strumenti da lavoro erano allineati sul tavolo. Ebbro di follia, afferrò un martello, ma poi vide un machete e ripiegò su quello.
Fatti a pezzi senza difficoltà le proprie vittime, aveva riposto ogni pezzo in un saccone, poi aveva scavato una buca in giardino abbastanza grande per nascondere il tutto. Era stato attento a non lasciare macchie di sangue. Pulì per bene le armi e le ripose nel porta attrezzi, facendo attenzione a non far rumore. A notte fonda finì il lavoro. Poi uscì.
Mentre era assorto nei suoi pensieri, vide confusamente una sagoma di un uomo, che si muoveva violentemente su qualcosa. Si fermò, aspettò. Poi alcune grida soffocate gli giunsero all'orecchio. L'alcol in corpo a F. diede il coraggio di curiosare meglio e avanzò di qualche passo.
"Hey!" gridò F.
L'uomo si fermò di colpo, si girò, e poi scappò nella direzione opposta.
F. barcollando fece per inseguirlo, ma l'uomo si era dileguato troppo velocemente, lasciando cadere il suo strumento a terra, vicino alla vittima.
Il suono che produsse il martello cadendo sull'asfalto, fu così nitido, così forte, che per qualche momento F. confuse l'atmosfera reale col sogno. Fantasticò con la mente, e tutto gli sembrò più chiaro: l'assassinio di un altro essere, se miserevole e privo di moralità, poteva essere commesso, ma come un'artista crea la sua opera d'arte, senza nasconderla, senza averne paura.
Appena si risvegliò dalle fantasie, rimase per alcuni minuti a guardare la vittima del Mostro. Il volto era irriconoscibile e il sangue ricopriva tutto il corpo, creando a terra una sorta di forma artistica di carattere astratto.

Prese l'arma del delitto e la osservò.

Poco dopo, un passante gridò:
"Polizia, il Mostro, il Mostro!"

F. si girò, e poi scappò nella direzione opposta.

domenica 16 dicembre 2007

Atomi d'arte


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sabato 15 dicembre 2007

venerdì 14 dicembre 2007

mercoledì 12 dicembre 2007

Facoltà vitali

Il paese era in ginocchio.
Lo sciopero dei trasporti aveva ridotto, in modo casuale, la nazione ad un subbuglio di anarchia totale.
Ci vuole così poco per distruggere la modernità. Ognuno si accorge di come tutta questa complessa società di oggi, sia veramente precaria.
Se ne era accorto pure Salvatore. Che rifletteva e ricollegava i vari passaggi che avevano portato alla rovina; lo sciopero, poi dopo i primi 4 giorni, la benzina e i combustibili erano esauriti; la merce sui banchi finita insieme a tutti i prodotti di consumo.
I mercati vuoti, come le strade ormai deserte.
L'euro aveva perso quota in borsa mentre aumentava vertiginosamente il costo della vita.
Le fabbriche erano morte.
L'italia aveva ricevuto danni per oltre 500 miliardi di euro. La parola "Stato", era un ricordo.

L'apocalisse era arrivata in anticipo e in modo imprevisto.

Salvo mentre passeggia in mezzo alla circonvallazione deserta, vedeva la città nel suo degrado totale.
Atti di vandalismo e vetrine infrante dei negozi e delle banche erano fatto comune, anche se oramai il soldo era solo un'inutile foglio di carta.
L'immondizia riversava a fiumi in ogni angolo.
Il genere umano, aveva toccato il fondo.

Salvo fu l'unico invece, che guardando il cielo, vide qualcosa di diverso. Di positivo.
Sulla linea dell'orizzonte, dove le montagne toccavano l'infinito, si intravedeva un tramonto rosso e caldo.
Il pianeta sembrava aver ripreso a respirare.

Riflessi


Allora vidi la mia figura riflessa per intero nel grande specchio.
Ma chi dei due, era solo un riflesso? chi era l'originale?

martedì 11 dicembre 2007

Mettere le ali (non sempre si spiega)

Celeberrimo, celebro deliri irrazionali
potenza al cubo della mente in stati confusionali
ritorno ai mondi rudimentali
il fuoco intorno come danze tribali
rimbombo di silenzi tombali
profondi respiri davanti a tramonti sensazionali
varco porte siderali
nello spazio le lacrime prendono senso di discese spirituali
vuoti verticali
ho perso il senso acquisendone di extrasensoriali
sensazioni casuali
la parole le rendono conflittuali
cerco nascosti segnali
senza risposte alle domande vitali.

lunedì 10 dicembre 2007

Miraggi e risvegli

La pioggia cade lentamente sul vetro opaco della finestra.
Il cielo grigio, completamente circondato da nuvole imponenti, mi scruta dall'immenso.
Ed io scruto lui.
Il tempo non esiste più. Solo il rumore della pioggia.
Il suono, è come un mantra: ti rilassa e ti rende immortale.
Pensieri di tutti i giorni passano velocissimi, quasi impercettibili, sul lato profondo della mente.
Non riesco a stare sveglio. Confusione tra il reale e l'onirico.
Visioni lucide, sullo schermo del PC, dove scorrono immagini di foreste millenarie e esseri primordiali.
Poi abbandono, il niente. Un po' come morire.
Miraggi fantastici. La luce permea e riscalda l'universo. In pace: ecco cosa voglio.

Il risveglio è talmente veloce, che rimango sconvolto.
Squilla il telefono.
Fra 6 giorni, partirò per la mia ultima missione di guerra. Mi prometto che sia l'ultima.

domenica 9 dicembre 2007

Antropologia di un crimine

La realtà prende a calci senza preavviso.
Ero rimasto senza lavoro.
La ditta per cui lavoravo da anni, mi aveva avvisato il giorno stesso, con una telefonata.
Che modo infame, pensai, mi venne in mente che i loro cuori erano freddi, freddi e spietati, come le macchine con cui lavorano.
Alle ultime ore, mi sentii un cretino, volevo spaccare tutto. Ma non era nel mio stile.
Me ne andai a testa alta. Me ne andai bene.

Dopo che la fabbrica si era presa i miei anni migliori, strappandoli via dal petto, come una iena che banchetta con la sua carcassa, un forte senso d'abbandono permeava il mio spirito.
In più, Alice mi aveva lasciato da poco. Adesso dovevo vedermela da solo con le bollette e l'affitto.

La sera, non volendo tornare a casa, mi ritrovai a girare per le strade di periferia più sporche, i quartieri popolari della metropoli, alla ricerca di un bar, un pub, dove spendere gli ultimi soldi per bere, e magari per quella notte, scordarmi del resto del mondo.

Il giorno dopo, tornai a casa alle 16,00
Con addosso i postumi della sbronza, la casa sembra volermi abbattere, affogare tra le sue mura.
Ovunque guardassi; mobili, oggetti, specchi....tutto mi riportava alla mente lei.
Vomito.
Ho bevuto del caffè e mi sono sdraiato sul letto.
La nausea era ancora il mio nemico peggiore...
Dormii per non so quanto tempo. Forse un giorno.

Quando ormai mi sentii meglio, uscii con un'improvvisa voglia di riscatto.
Sulla porta d'ingresso trovai il proprietario del condominio. Non so come, ma era già a conoscenza del mio licenziamento. E visto che Alice se ne era andata, mi ha chiesto se ero sicuro di poter continuare a permettermi l'appartamento. Non ci sono state scuse per smuoverlo.
Il giorno stesso feci le valigie. Ma decisi di portare con me solo l'indispensabile.

Ancora, quella sera, mi ritrovai a girare senza una meta precisa...
per le strade, puttane e ubriachi, si intrecciavano nei vicoli scuri della metropoli suburbana.
Fra la massa di uomini-spazzatura, mi sembrò di vedere ancora Alice, che scompariva come un fantasma tra i rifiuti e gli angoli bui.
La stanchezza e i crampi allo stomaco mi fecero girare presto la testa.
Mi accasciai sul marciapiede come una foglia morta.
Tutto intorno si fece buio, a poco a poco...ricordi sconnessi: un viso, un eco di parole lontane...
le luci dei lampioni ondeggiavano incandescenti.

Ci vollero secoli per riprendermi, e molti calci. Uno sbirro mi pestò per bene, prima che potessi alzarmi. Per poco non mi arrestava. Forse almeno avrei trovato vitto e alloggio gratis.

Camminai fino ad una chiesa, la guardai con disprezzo. Nel momento del bisogno, la gente prega invece di agire.
A Dio non sarebbe importato niente di me.

La fame mi mangiava dentro.
Cercai per ore in giro, un lavoro qualsiasi. Niente.
Quella sera riuscii a mettere qualcosa sotto i denti. Rifiuti trovati nella spazzatura. Ma quante cose ancora mangiabile buttano via?

Le notti all'aperto tempravano il corpo e annebbiavano la mente.
Sull'orlo di una crisi, brancolai tra i vicoli alla ricerca di cibo.
Tra l'immondizia trovai un coltello grande, di quelli che tagliano le carni nei ristoranti.
Era arrugginito e non aveva più il filo. Mentre lo fissavo, notai che nonostante la ruggine, la mia immagine distorta era riflessa nell'acciaio, come una visione onirica di un mostro. Rimasi affascinato da quell'oggetto.
Sapeva, lui conosceva la mia disperazione. Si sentiva come me: eravamo simili. due rifiuti del mondo in cui sono nati. Rifiuti per colpa di chi?
Mi sentì invadere da una scossa, una nuova cosapevolezza di me stesso. Una parte di me, che non conoscevo, prese il sopravvento.
In quel preciso momento, un uomo e sua moglie entrarono nella via.
Nascosi il coltello, e li fissai: era una coppia di distinti signori. Cosa ci facevano da quelle parti?
Nascosto dal buio, li guardai venirmi incontro. L'impugnatura della lama, divenne improvvisamente calda e benevola, come qualcosa di familiare.
Lo maneggiai con destrezza.

Due ore dopo, stavo mangiano con i soldi delle mie prime vittime.
La mente sgombra dai pensieri. Una macchia di sangue era ben esposta sul cappotto.

Il coltello risvegliò l'stinto animalesco, che dormiva in me da sempre. Quell'istinto di sopravvivenza, che noi, animali domestici, stiamo perdendo sempre più.

Vidi il mondo con un altro occhio, quello del detto: occhio per occhio, dente per dente.
Volevo riprendermi quello che mi avevano tolto.
Finito di mangiare, la realtà acquisto il suo normale potere.
Misi la lama in tasca, e me ne andai.

Avevo ancora ancora fame.

venerdì 7 dicembre 2007

Delirarte





La strada è lunga e tortuosa,
e a volte non porta da nessuna parte.


mercoledì 5 dicembre 2007

Universi paralleli

"Ci credi negli universi paralleli?" chiese Paolo.
"La fantascienza non mi interessa, perchè?" rispose Jonathan.
"Non è solo fantasia. Ci sono diverse teorie che spiegano questi fenomeni. Perchè sei sempre così scettico?!."
Attimo di silenzio.
"Secondo me - continuò Paolo - il lavoro ti rende troppo cinico e razionale, non credi in nulla. Ma come fai a vivere così?"
"Non è che non credo in niente, penso solo sia un grande mistero. D'altronde la verità su certi argomenti non si potrà mai sapere. E poi che c'entra coi mondi paralleli?"
"Ci pensi? interi univeri separati, identici o quasi simili al nostro. Questo vuol dire che ci possono essere infinite copie di te stesso, a volte diverse, altre normali. Magari esiste un universo dove la guerra l'hanno vinta i nazisti."
"Bè magari sarebbe migliore di questo. - ci pensò un attimo, poi storse la bocca e disse - No forse migliore no. Ma non mi ci far pensare - ribattè Jonathan - torniamo al lavoro piuttosto."

Paolo, sorridendo, finì il caffè, poi seguì il collega fuori dalla stanza.
Fuori, nel cortile interno del cantiere, brillava sotto il sole, una lattina vuota. Jonathan gli tirò un calcio e il pezzo di latta rotolò varie volte. Urtando uno scalino, la lattina si fermò in piedi.

Sull'etichetta, si leggeva a lettere cubitali: SLUURP. La famosa bibita di marca internazionale.

martedì 4 dicembre 2007

Nessuna via d'uscita.

Alba crudele e beffarda.
Sempre uguale, il tempo non scorre mai.
La città fredda e sporca si tinge di una luce grigia.
La parola che inspira nella mente è: Squallore.
Nessuna voglia di vivere.
Affacciato alla finestra guardo il mondo ricomparire e ricostruirsi.
Sempre al solito posto. Sempre uguale.
Nessuna via d'uscita.

Freddo d'inferno nel piccolo bagno della fabbrica.
L'urina fuma in faccia.
Fuori scorgo un ultimo bagliore di natura, l'unico che posso concedermi. E' un albero spoglio e triste. Niente che rallegri lo spirito.
Nella giugla di ferro, tubi e carrelli, gli uomini sono automi primitivi, privi di pensiero.
Il freddo e il lavoro congelano la razionalità.
Polmoni saturi di gas tossici.

Oggi un altro incidente, stavolta molto serio: una gru ha sganciato da 4 metri di altezza alcune sbarre di ferro. Un operaio è rimasto schiacciato dal violentissimo urto.
Ovunque, al posto del sangue e della carne, microchip e cavi colorati.
L'androide è stato già sostituito.
Il caso mi ha fatto pensare molto. Crisi d'identità: se succedesse a me, cosa schizzerebbe sul pavimento?
Non sono sicuro di niente.

Dal profondo, sento pulsare il cuore metallico del mondo.