Era il giorno di un funerale. Ma non conoscevo il morto. E non aveva partenti o amici venuti a salutarlo. Sapevo che era del mio stesso paese, perché i funerali di un paese piccolo come questo, riguardano solo quelli che ci vivono. Ma c'erano solo il prete e l'autista. Io li guardavo dall'alto, sugli scalini della piazza. Era una scena triste. Un prete che faceva il funerale a nessuno. A chi serviva? Al morto, giusto. Ma di sicuro al morto non fregava più niente se nessuno fosse venuto al suo funerale. Però dalla parte dei vivi, una scena come quella metteva tristezza. "La solitudine" pensai. Chissà come era morto quello. Magari da solo, vecchio e incompreso. Magari morto di solitudine, e in solitudine rimaneva anche da morto. Allora mi avvicinai, seguendo lentamente da dietro, il lento carro funebre che si fermò davanti al cancello aperto del cimitero adiacente alla chiesa. Mi sentì quasi un criminale, un imbroglione in vena di un brutto scherzo: avvicinarmi tanto al rito, senza portare rispetto al morto. Ma il prete non lo conoscevo e nemmeno l'autista. Pensai che potessero avermi scambiato per un conoscente del defunto e magari erano contenti che qualcuno assistesse. Quindi rimasi in silenzio a guardarli. Erano in due a portare la bara al suo posto al cimitero così scelsi di aiutarli. Eravamo tre uomini, in silenzio, che stavano facendo qualcosa per uno sconosciuto. E per di più morto. La cerimonia finì presto e senza troppi fronzoli.
Ma non ho più voglia di finire la storia. Probabilmente l'IO, si sarebbe accorto che il morto era egli stesso. O qualcosa del genere.
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