venerdì 25 gennaio 2008

Teseo moderno

Il cielo plumbeo inghiottiva la città lentamente.
I passi sull'asfalto bagnato rimbombavano nell'isolato.
Le sagome degli edifici intorno, erano come muri di un labirinto, ed io senza la mia Arianna e il suo prezioso filo, mi ci ero perso dentro, sconvolto dall'idea, che prima o poi sarebbe comparso il suo guardiano, la terribile bestia sempre in agguato.
La mia preda, si era presa in ostaggio alcuni ragazzi, tra cui mia figlia. Dovevo trovarli in fretta.
I tombini fumavano sotto i miei piedi e la nebbia creava un alone di mistero nel tetro paesaggio metallico.
Come in un sogno, dove poco è nettamente distinto, e tutto è avvolto dall'indifferenza, il rumore del cuore e dei passi, ritmavano la mia scalata verso il centro del labirinto.
Il ferro gelato nella fondina sotto il giubbotto, era il mio unico compagno di viaggio e passaporto per la libertà, se mai ci fosse una minima speranza di uscirne.
All'uscita del vicolo, mi guardai intorno: altri vicoli verso sinistra e destra cadevano verso l'oblio e nella tenebra. Restai immobile ad aspettare, mentre il tempo passava inesorabile.
Percepii delle voci lontane, e la speranza riaffiorò.
Cominciai a correre quando i miei occhi si erano abituati al buoi, riuscendo così a vedere le sagome dei muri neri.
Le voci sempre più nitide erano la mia giuda, mentre nella testa urlavo:
"Parlate, parlate vi prego!"
Con le mani in avanti, a tastoni riuscii ad arrivare al centro del labirinto, dove la bestia aveva portato le proprie vittime.
Affacciato dall'angolo del muro, controllavo la scena. Gli ostaggi legati erano seduti assieme nell'angolo opposto della piazza, mentre il mio uomo, stava controllando delle carte con una torcia. Mi venne in mente:
"Allora anche il minotauro non conosce casa sua..."
Per quanto stupido, era l'unico ragionamento che potessi fare.
Presi la pistola e mirai bene all'uomo, che in quel momento, visto con un gioco strano di luci ed ombre con l'aggiunta della mia fantasia, assomigliava veramente ad un mostro con le corna.
Un mostro orribile, che aveva rapito mia figlia.

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