lunedì 25 febbraio 2008

Operaio

A. aveva fatto di nuovo quel sogno. Da mesi sognava di svegliarsi nel suo letto, ma la stanza non era la stessa. Al posto del solito letto matrimoniale, un letto ad una piazza, con la coperta bianca. Di fianco a lui, invece del solito armadio dove divideva il guardaroba con la moglie, c'era un vecchio comodino con una lampada. Lungo il muro, nessun quadro, nessuno specchio. Solo il muro scrostato.
Il sogno era talmente reale che A. non sospettava minimamente di sognare.
Sapeva di essere vedovo, e di lavorare come operaio per una ditta che si occupava di generi alimentari. Era un sogno monotono: sempre gli stessi pensieri, gli stessi gesti, movimenti ripetuti alla nausea. Il solito lavoro che occupava gran parte della giornata. Nessun amico, nessun conoscente. Era solo. Il mondo gli passava davanti come un'immagine lontana.
Ogni mattina, A. si svegliava nella sua camera matrimoniale con questo incubo in testa. Ne aveva parlato alla moglie, ad alcuni amici più intimi. Tutti lo avevano liquidato con una frase di spirito, come se per A. fosse una cosa leggera.
Ma non era così. Presto A. si accorse di avere una malattia psichica: viveva due vite. Quando la sera andava a letto, si svegliava nell'altra vita e viceversa.
Cos'era reale? Quale delle due vite era solo uno stupido sogno? Non lo sapeva più.
A poco a poco, cominciò a diventare sempre più nervoso, sempre più fuori di se. Cercava di rimanere sveglio ma il sonno prendeva sempre e comunque il sopravvento, portandolo nella sua seconda vita.
Un giorno, sull'orlo di una crisi nervosa, A. senza rendersene conto, uscì dalla casa dove viveva solo, nella vita dove faceva il povero operaio e senza volerlo si ritrovò al cimitero. Qualcosa di vagamente familiare lo aiutò a camminare senza incertezze fra quelle tombe. Sapeva, seppur senza rendersene conto, di sapere già dove andare. Si fermò infine davanti ad una tomba vagamente conosciuta. Sulla croce poté leggere: Alberta Falco. Sua moglie morta.
Allora cominciò a ricordare tutto: l'incidente di cui si sentiva responsabile, la perdita del suo lavoro prestigioso, della casa, dei sensi di colpa, e infine della malattia che gli avevano diagnosticato.
Stanco e sofferente, tornò a casa e si addormentò. Il giorno dopo si sarebbe svegliato alle 6. Duro il lavoro dell'operaio.

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